martedì, marzo 04, 2008

Kill Bill

[postato inizialmente su Infoservi]

Bill Moggridge"Il design sta diventando così complicato", ha attaccato calmo, con un mezzo sospiro, Bill Moggridge, grande veterano dell'interaction design, ospite molto illustre alla Mediateca di Milano per la serie Meet the Media Guru. Co-fondatore di Ideo, tra gli studi di design di maggiore prestigio al mondo, Moggridge è uno dei protagonisti più noti di una cultura del progetto informata da centralità dell'utente (user centered design), ricorso sistematico alla prototipazione, multidisciplinarità, conoscenza e sensibilità rispetto alle possibilità offerte (o negate) dalle tecnologie, a partire da quelle della Rete, delle tecnologie dell'informazione e dei media personali.

Tutte cose a cui certamente era sensibile anche gran parte del pubblico, diligente, attento, inchiodato alle poltroncine dalle sette e un quarto fino alle nove e venti di sera, presente in forze anche fuori dalla sala, in senso stretto per quelli che non sono entrati e in senso lato per quelli che hanno seguito online, anche in SL (mentre il titolo di questo post l'ho rubato a una battuta apparsa in chat a fine incontro, confesso).

Da divulgatore impeccabile, Moggridge ha esemplicato la trasformazione del design con un esempio, un servizio comunissimo, il telefono, che è nello stesso tempo un insieme di infrastrutture tecniche e anche un oggetto d'uso quotidiano. Con un apparecchio d'epoca sullo sfondo (chassis in legno e manovella), torniamo al tempo in cui chiamare qualcuno era compiere un gesto semplice, una piccola conversazione con una centralinista che con perizia e cortesia riusciva pure a trovare il destinatario giusto tra i non molti abbonati con lo stesso cognome (Ms Smith of Main Street or Ms Smith of Canal Street?); "human-to-human interaction", plastica, flessibile, beneducata (i bei tempi andati, quando le macchine erano un lusso o uno strumento per pochi).

Non si può dire lo stesso delle comunicazioni di oggi, con rubrice telefoniche da navigare come un'applicazione professionale e più SIM che persone, e cellulari che dovrebbero servirci anche per pagare la Coca Cola alla vending machine -- uno dei video migliori mostrava una ragazzina giapponese che con pazienza stereotipa spende oltre trenta minuti della sua vita per avere appunto una lattina da un distributore automatico di Tokyo (un esempio di pessima progettualità, e, dico io, scherzando ma non troppo, pure di un certo sadismo del ricecatore di human factors che ha girato il video...).

Questo stesso mondo caotico e complicato da progettare però è anche quello dei cambiamenti e delle espansioni (spesso inattese, e forse per questo possibili) nei modi di vita e del lavoro creati dalle tecnologie, che si tratti di ascoltare musica, scattare fotografie, scrivere o comunicare. Un esempio dopo l'altro -- un video dopo l'altro -- sullo schermo di Moggridge parlano i fondatori di Google e un chief architect di Microsoft, progettisti di Apple e veterani di Xerox, nomi celebri e nomi da addetti ai lavori, casi eclatanti come l'interfaccia originale di Google e altri di nicchia come quella per una fotocamera subacquea. La natura collettiva e distribuita dei processi di design, mascherati dietro i loghi delle grandi aziende, ritrova il volto e la voce delle persone -- e persino il disegno, il mezzo d'espressione più antico e classico, ha la sua celebrazione nei bozzetti sulle primissime metafore del desktop creati (e smarriti) allo Xerox Parc.

Insomma, saranno state le poltroncine e il semibuio, o l'andamento continuo ma sempre piacevole dello speech, o il gran numero di video, ma si è avuta quasi l'impressione di assistere a un film, un film su come è cambiato il senso del progetto negli ultimi venti o trent'anni, e usciti fuori tra i palazzi di via Moscova pareva un po' di essere tornati nel mondo di prima. Certo, la primissima battuta di Moggridge, gentile e ovviamente coi suoi fondamenti, era per una Milano descritta come "il centro del design per così tanti versi", ma è pur vero che abbiamo sentito racconti e testimonianze tutte provenienti da una mappa culturale che ha come capitale una rete di aziende, università e centri di ricerca collocata altrove, tesa in gran parte tra West Coast, Tokyo e Londra (e la copertina del numero di 7th Floor che ci aspettava sulle poltroncine invita a guardare il BRIC di Brasile Russia India e Cina).

Con un paio di implicazioni importanti però: in una economia fatta in gran parte di servizi, abilitati (o, di nuovo, peggiorati) dalle tecnologie c'è anche molto lavoro da fare nella dimensione locale, vuoi perché i servizi alle persone hanno a che vedere di necessità, almeno in parte (il consumo!), con un territorio, con un luogo, vuoi per la persistenza (o l'aumento) delle differenza e del gioco delle culture. E poi forse siamo solo all'inizio. Rispondendo a Ezio Manzini, Moggridge ha riconosciuto che un concetto cardine come quello di qualità, ricco di rimandi e riferimenti nel mondo degli oggetti, non ha ancora un'articolazione comparabile nel mondo dell'interazione.

Si va fuori tempo massimo - solo un attimo per riaprire il Mac al volo e aggiungere "Kill Bill" alle note.

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